ALIMENTAZIONE SECONDO NATURA: L’ALLEVAMENTO DI CIBO VIVO PER GLI OSPITI DEL TERRARIO


di Alessandro Vlora

 
 

Articolo originale pubblicato su "Il Mio Acquario" n. 7 (1999)


L’obbligo principale di chi si accinge per la prima volta ad allevare un qualsiasi animale in terrario deve essere quello di informarsi di tutte le esigenze che la specie prescelta richiede per un corretto mantenimento. La lettura di un buon libro o di un articolo attinenti alla specie che si desidera allevare è, senza dubbio, necessario ed indispensabile, per cui il discorso che segue deve intendersi come un compendio di consigli di carattere generale rivolto soprattutto ai neofiti, al fine di evitare che l’inesperienza possa tradursi in un’inutile quanto crudele sofferenza per gli animali allevati, arma giustamente impugnata dai detrattori della terraristica.

 

Terrariofilo “fai da te”.

L’obiettivo principale del terrariofilo responsabile è, dunque, cercare di ricreare in un ambiente chiuso, come è il terrario, il giusto “equilibrio” che possa soddisfare tutte le esigenze vitali della specie allevata. Tralasciando le necessità prettamente ambientali, si pone l’accento sulle necessità alimentari, certamente da non sottovalutare: in natura, infatti, l’offerta di cibo è molto diversificata e la scelta degli alimenti non è imposta, ma conseguenza di diversi fattori (clima, stagione, ecc.).

L’appassionato non si deve accontentare di sfamare i propri animali, ma deve offrire loro una dieta corretta, sana e bilanciata. In quest’ottica mentre per gli acquariofili, anche inesperti, il mercato offre una gamma di alimenti di produzione industriale (essiccati, liofilizzati, pellettati, surgelati) assai completa e diversificata, tale da supplire ad una eventuale inesperienza dell’allevatore, non esiste la stessa disponibilità per i terrariofili; questi ultimi, infatti, sono soventemente costretti ad allevare in proprio il cibo per i loro beniamini ed il “fai da te” diviene una regola. Di conseguenza occorre evitare l’acquisto di un serpente se non si è disposti a somministrargli dei topolini, così come di un camaleonte se si è sprovvisti di una gran varietà di Artropodi vivi. Il problema del “cibo vivo” è spesso sottovalutato dall’appassionato neofita, specie quando l’interesse per la terraristica (in particolare l’allevamento di anfibi e rettili) segue precedenti esperienze in campo acquariologico.

Gli anfibi, così come i rettili, sono generalmente più restii dei pesci ad accettare cibo inerte, poiché questo non suscita in loro l’istinto predatorio; la ricerca del cibo nelle due classi di Vertebrati in questione, infatti, è sollecitata proprio dagli stimoli motori, olfattivi e termici dell’eventuale preda. Ciononostante vi sono specie che, più di altre, si abituano ad accettare cibo inerte, anche se dopo un periodo di acclimatazione; in genere gli esemplari nati in terrario si adattano più velocemente.

Per quanto riguarda le preferenze alimentari si può affermare in generale che quasi tutti gli anfibi sono insettivori da adulti, mentre durante la fase larvale hanno una dieta più varia, spesso a base vegetale; i rettili, invece, possono considerarsi carnivori, ad eccezione di alcuni testudinati e qualche sauro (es. iguana verde).

In conseguenza delle necessità alimentari degli anfibi e dei rettili, il terrariofilo deve sostituirsi, suo malgrado, ad un anello della catena alimentare naturale ed offrire personalmente ai propri beniamini il cibo, che consiste necessariamente in altri organismi viventi.  

 

Neofita: in bocca al lupo.

Dopo tale doverosa premessa mirata ad ammonire i neofiti terraristi che, attratti dai vistosi colori e dal bizzarro aspetto di molti animali da terrario, non tengono conto del “problema alimentazione”, si ritiene opportuno dividere la trattazione in sezioni specifiche dedicate alle specie più comunemente allevate a scopo alimentare.

Tali specie sono preferite dagli allevatori di tutto il mondo perché offrono numerosi vantaggi:

 

1) sono di facile allevamento e riproduzione;


2) hanno cicli vitali piuttosto brevi e un alto tasso riproduttivo;


3) hanno un valore nutrizionale modificabile in base al tipo di allevamento;

 

4) non emettono cattivi odori (se allevati correttamente);

 

5) richiedono poco spazio per l’allevamento;

 

6) sono di rado attaccati da parassiti;

 

7) non sono costosi.

 

Vermi della farina

Per vermi (o tarme) della farina si intendono le fasi larvali dei Tenebrionidi, famiglia di insetti appartenenti al vastissimo ordine dei Coleotteri, che conta più di 300.000 specie. I Coleotteri sono insetti che presentano metamorfosi completa, passando attraverso le fasi di larva, di pupa (ninfa o crisalide) e di insetto adulto (olometaboli). Nei Tenebrionidi allevati dai terrariofili (appartenenti essenzialmente alle specie Tenebrio molitor  e Tenebrio obscurus) dalle uova si schiudono (in circa una settimana) piccole larve biancastre di circa 2-3 mm che si accrescono, subendo un certo numero di mute, fino a raggiungere la lunghezza di circa 2-4 cm (variabile a seconda delle specie), e ad assumere il caratteristico colore giallo-dorato in un periodo compreso tra 3 e 7 settimane. Tali larve possiedono un corpo apparentemente diviso in segmenti con apparato masticatore ben sviluppato e tre coppie di arti disposte nella porzione antero-ventrale del corpo. Le larve, in seguito a stimoli differenti (termici e di disponibilità di cibo) si metamorfosano in pupe nude ed inette, che danno origine ad un insetto adulto dopo circa un paio di settimane (ad una temperatura di 26-28°C). Gli adulti, di dimensioni inferiori ai 2 cm, non volano e appena metamorfosati sono biancastri e teneri, quindi divengono rossicci, poi bruni ed infine, quando l’esoscheletro è perfettamente indurito (in un paio di giorni), neri. A causa del breve periodo di vita dell’adulto (meno di sei mesi), subito dopo la metamorfosi sono in grado di accoppiarsi e di riprendere un nuovo ciclo vitale.

Il nome comune di “vermi della farina” è essenzialmente dovuto alla dieta a base di sfarinati che fa di questi insetti gli ospiti più temuti da panettieri, fattori e mugnai. Una simile alimentazione porta i vermi della farina a divenire dei “salsicciotti” con un notevole carico proteico e di zuccheri, ma con un altrettanto elevato contenuto in scorie (soprattutto gli adulti). Compito del terrariofilo è di “trasformare” questi insetti in un alimento più bilanciato, attraverso la preparazione di un substrato nutritivo adatto alle esigenze degli ospiti del terrario. Per far ciò, ad un “pabulum” essenzialmente costituito da pane tritato e farina (meglio se di grano duro) è necessario aggiungere croccantini e biscotti per cani e gatti, già arricchiti con vitamine e sali minerali (Calcio, Fosforo, Sodio, Magnesio, ecc.), osso di seppia finemente triturato, corn-flakes e farina di carne e di pesce, acquistabile in erboristeria o in farmacia. A bilanciare ulteriormente il delicato rapporto Calcio-Fosforo che, nei rettili, deve essere spostato a favore del Calcio, è indispensabile completare tale substrato con tre-quattro cucchiaini di integratore di vitamine (soprattutto vitamina D) e sali minerali specifico per rettili. Occorre ricordare come alla base di numerose patologie legate al metabolismo osseo, ci siano alimentazioni scorrette o carenti di Calcio e/o vitamina D, indispensabili soprattutto per le specie vegetariane, come, ad esempio, Iguana iguana.

Un substrato nutritivo composto da alimenti secchi, comunque, non basta: è opportuno aggiungere periodicamente dei vegetali freschi (insalata di lattuga), spinaci e cicorie (attenzione ai cattivi odori!), ben lavati. Indispensabili sono carote, mele e patate, da non tritare, essendo in grado di conservare bene al loro interno un’adeguata riserva d’acqua senza correre il rischio che il substrato ammuffisca. Di contro, una spia di umidità ambientale troppo bassa è data dall’”accartocciamento” delle ali degli individui adulti; in tal caso si deve ricorrere alla nebulizzazione, almeno due volte al giorno.

Una volta preparato, il “pabulum” lo si può travasare, per un’altezza non superiore a 10 cm, in recipienti con pareti lisce (plastica o vetro) con una superficie di fondo piuttosto ampia al fine di evitare che le larve, dotate di scarsa motilità, possano morire soffocate: a riguardo è consigliabile interrompere l’omogeneità del substrato con fette di pane secco (ottimo quello integrale) e carote disposte in modo da attraversare per lungo lo spessore del substrato. Per evitare spiacevoli quanto indesiderate fughe, si consiglia di coprire il contenitore con una rete in tessuto tipo zanzariera o, meglio, con una tela di sacco leggermente inumidita, che potrà anche favorirne il prelievo.

La coltura deve essere mantenuta a temperatura costante (circa 25°C) per mezzo di un cavetto riscaldante, da porre all’esterno del contenitore, per consentire che gli accoppiamenti continuino senza interruzione; a tal fine è preferibile attivare due colture parallele per essere sempre sicuri della disponibilità di alimento.

Per “inizializzare” una coltura può bastare anche solo una cinquantina di insetti, meglio se in diverso stadio vitale. Per aumentare la produzione è preferibile separare gli adulti, da nutrire con un maggiore quantitativo di alimenti freschi, o le pupe, che sono particolarmente vulnerabili, soprattutto se l’allevamento è sovrappopolato rispetto alla normale capienza del contenitore.

Per la somministrazione è consigliabile adoperare un piccolo contenitore posto all’interno del terrario al fine di impedire che i vermi si infossino nel substrato e che possano trasformarsi da prede in predatori. A tal riguardo sono particolarmente pericolosi i vermi giganti della farina, appartenenti alla specie Zoophobas morio, caratterizzati dalla colorazione scura delle estremità del corpo e dalle grandi dimensioni delle larve (fino a 7 cm), vere e proprie ghiottonerie per sauri di grosse dimensioni (Callopistes, Corucia, ecc.). D’altra parte, in commercio capita che siano spacciati per Zoophobas spp. comuni vermi della farina, ma di maggiori dimensioni perché sottoposti a trattamenti ormonali da ditte specializzate. Del tutto simili a T. molitor, ma con larve che difficilmente superano 1 cm di lunghezza, sono i cosiddetti “Buffalo worms”, appartenenti al coleottero tenebrionide Alphitobius diaperinus, a distribuzione cosmopolita, ma che gradisce frequentare ambienti più umidi rispetto alle altre specie citate.

Un uso continuativo di tenebrionidi potrebbe provocare occlusioni intestinali dovute al loro coriaceo involucro esterno, rischio peraltro limitabile mediante una somministrazione di larve appena mutate, alquanto tenere e riconoscibili per il colore biancastro.  

 

Camole del miele

Per camola del miele, chiamata anche tignola degli alveari, si intende la larva di Galleria mellonella, specie appartenente all’ordine dei Lepidotteri, che riunisce tutte le farfalle. Gli insetti adulti, infatti, sono delle farfalline di circa 2 cm di lunghezza con le ali di colore marrone-bruno e scarsa abilità nel volo; nonostante la breve vita (3 settimane), esse sono in grado di deporre filari di uova (sino a 250 per deposizione) che rimangono vitali per molto tempo, anche in caso di avverse condizioni ambientali. Il dimorfismo sessuale si evidenzia a livello della prominenza della bocca delle femmine, fornita di “palpi”, al contrario dei maschi che ne sono sprovvisti. Le larve, invece, tristemente note agli apicoltori, raggiungono i 3 cm di lunghezza e sono in grado di fabbricare un bozzolo setoso a funzione difensiva o per prepararsi alla metamorfosi, che porta alla formazione di una pupa (crisalide), totalmente immobile. Lo sviluppo larvale è strettamente dipendente dalla temperatura (optimum intorno ai 30°C), dall’umidità (60-65% u.r.) e dalla quantità e qualità del cibo a disposizione.

Le camole del miele, per la loro taglia minuta, per il ridotto esoscheletro chitinoso (anche degli esemplari adulti) e per l’elevato valore nutritivo sono considerate un alimento importante, soprattutto come integratore alla dieta di base. Un uso continuativo potrebbe procurare obesità e degenerazione grassa del fegato conseguente al notevole contenuto in grassi (vedi tabella).

L’alto valore nutrizionale è certamente in relazione all’alimentazione in natura di questa specie: miele e cera d’api per cui, per l’allevamento domestico, si consiglia di preparare un “pabulum” a base di miele (200 g), crusca (200 g), glicerina (100 g), germe di grano (100 g), latte in polvere (100 g), lievito (80 g) ed, eventualmente, un antiossidante (ad esempio acido idrossibenzoico). Un siffatto substrato, dalla consistenza flaccida, può durare circa un mese, se mantenuto a temperatura costante (26°C, 60% u.r.), molto di più se conservato in frigorifero.

Una volta approntato, il substrato si spalma con uno spessore non superiore a 2-3 cm, in un contenitore da frigorifero con il coperchio costituito da rete metallica a maglie sottili (tipo filtro enologico) o in polietilene duro che riduce la possibilità di fughe e facilita la traspirazione. Infatti, le larve appena schiuse, lunghe un paio di millimetri, sono in grado di forare qualsiasi fibra, per cui un coperchio fatto da doppio strato di garza fine, eventualmente coperto da una calza in nylon da donna, potrebbe non bastare. I contenitori non devono essere esposti alla luce solare diretta, che potrebbe causare un’inibizione della metamorfosi e una riduzione di taglia degli insetti (cfr. Kryspin et al., 1974; Wisniewski et al., 1987 in Klarsfeld, 1997): è preferibile, quindi, avvolgere i contenitori in carta di alluminio per alimenti.

Appartenenti alla stessa famiglia di Lepidotteri (Pyralidae), le tignole della farina (Pyralis farinalis ed Ephestia sp.) possono essere ugualmente utilizzate con il vantaggio di nutrire anche anfibi e rettili di piccole dimensioni a causa delle ridotte dimensioni sia delle larve, più snelle e corte delle precedenti, che degli adulti. Per queste specie è possibile adoperare lo stesso substrato usato per Galleria, magari arricchito in farina di cereali.

 

Grilli  

I grilli rappresentano un alimento insostituibile per gli appassionati di sauri insettivori grazie all’elevato valore nutritivo, ridotto contenuto in grassi e all’alto contenuto in vitamina C (vedi tabella), necessario per prevenire stomatiti. Per il tipico modo di procedere a piccoli salti e per il continuo movimento delle lunghe antenne, sembrano gli insetti preferiti da tutti gli animali insettivori (uccelli compresi) riuscendo a stimolare l’appetito anche di esemplari dal “palato fine” o particolarmente defedati.

Quando si parla di grilli, in genere ci si riferisce a Acheta domestica, insetto Ortottero appartenente al sottordine degli Ensiferi (portatori di spada), nome dovuto ad un ovopositore a forma di sciabola che consente di riconoscere la femmina dal maschio.

L’allevamento di questi insetti necessita di poche, ma essenziali cure: temperatura elevata (28-30°C), preferibilmente radiante dall’alto, attraverso una lampada I.R. (anche i tappetini riscaldanti comunque vanno bene) e notevole spazio a disposizione. Per aumentare la superficie del contenitore, che deve essere ampio, con pareti lisce e base larga (evitare, quindi, i secchi) si può ricorrere all’introduzione di cartoni utilizzati per il trasporto delle uova. Un’altra soluzione è quella di rivestire le pareti laterali del contenitore con materiali che permettano ai grilli di arrampicarsi: ciò si rivela utile sia per la cattura, sia per la scelta delle taglie degli esemplari da somministrare come cibo. Occorre mettere in atto tali stratagemmi perché i grilli, nonostante conducano vita gregaria, possono sviluppare una tendenza al cannibalismo in seguito a cause differenti (sovraffollamento, carenze idriche e alimentari). Il contenitore deve essere opportunamente chiuso da una retina metallica in quanto se costituita di altro materiale (stoffa, plastica, ecc.) viene perforato dal robusto apparato masticatore di questi ortotteri.

I grilli del genere Acheta possono considerarsi onnivori, di conseguenza la preparazione del substrato nutritivo non pone problemi: è possibile utilizzare mangime secco per cani e gatti (croccantini a base di carne e verdure) arricchito con vitamine. Allevamenti privi di pabulum, più semplici da pulire e con cibo da inserire all’occorrenza, possono comunque funzionare bene. Diete molto ricche di Calcio possono provocare ai giovani grilli difficoltà nel compiere la muta, quindi è preferibile “impolverare” con Calcio solo gli individui immediatamente prima della somministrazione. Ancora una volta indispensabili, grazie alla capacità di trattenere acqua al loro interno, sono patate e carote. Per l’approvvigionamento idrico si possono usare anche gel idratati. Come coperchio si può adoperare una rete metallica.

Per la deposizione delle uova occorre mettere a disposizione delle femmine un contenitore che funga da sito riproduttivo (vaschetta in plastica per alimenti oppure capsula Petri), riempito con torba umida compattata; tale sito di deposizione può essere ricoperto da una calza, tipo collant, ben tesa, col duplice scopo di permettere l’introduzione dell’ovopositore nella torba ed impedire che gli esemplari neonati, con esoscheletro ancora fragile, possano divenire preda degli adulti. Sostituendo il contenitore periodicamente (due volte al mese) è possibile ottenere grilli a diversi stadi di sviluppo. Attenzione a mantenere umida la terra di deposizione altrimenti le uova si seccano e non si schiuderanno mai. Si ricorda, a proposito, che le uova impiegano 8-10 giorni per schiudersi e che ciò non avviene a temperature inferiori ai 20°C; per svolgere un ciclo completo di vita (dalla schiusa alla deposizione delle uova) occorrono 8-10 settimane, con tempi che si allungano in caso di allevamento a temperature inferiori a quelle precedentemente consigliate.

Non si dimentichi, infine, che i maschi dei grilli emettono suoni grazie allo sfregamento delle tegmine, soprattutto durante le ore notturne, che potrebbero arrecare seri problemi all’allevatore, specialmente se si vive in condominio! Per ridurre al minimo tale inconveniente è possibile allevare il cosiddetto grillo silente, Gryllus assimilis, sempre più frequente sul mercato hobbistico.

 

Micromammiferi

Solo agli allevatori di un gran numero di esemplari di serpenti e/o grossi sauri (Varanidi, Teidi, ecc.) è conveniente l’allevamento di micromammiferi (topolini, gerbilli e cavie), altrimenti è molto più semplice acquistare da rivenditori specializzati di fiducia questi piccoli animali. Attualmente si trovano in commercio anche topolini congelati, utilizzabili previo opportuno riscaldamento: l’alimento congelato si rivela più facilmente digeribile, microbiologicamente sicuro, ma altrettanto povero di vitamine che, di conseguenza, devono essere somministrate a parte. 

Nel caso in cui si decida per l’allevamento domestico, occorre comunque evitare l’acquisto di animali malati, spesso venduti con pochi scrupoli proprio agli “amanti dei serpenti” e riconoscibili, anche dai non esperti, dal pelo arruffato e sporco a livello della zona perianale, dall’addome gonfio o particolarmente smagrito e dagli occhi lacrimosi o arrossati.

La scelta della specie da allevare come cibo dipende dalle dimensioni dell’animale da alimentare: in genere si opta per il classico topolino (Mus musculus), docile, prolifico e di facile allevamento. Per rettili di taglia maggiore si può ricorrere a cavie o ratti che necessitano di cure sostanzialmente simili al topolino, anche se di uno spazio maggiore.

Per l’allevamento si consiglia di utilizzare gabbie specifiche per roditori, in resina lavabile: queste - da collocarsi in ambienti caldi e ben areati - devono essere ampie, con le pareti basse, prive di griglia di fondo e chiuse con maglia in acciaio forgiata in modo tale da consentire la collocazione di beverino e cibo all’esterno della gabbia; tali caratteristiche sono necessarie per facilitare una rapida, quanto igienica, manutenzione. Come substrato è preferibile utilizzare il tutolo di mais, lettiera naturale, inodore e, in caso di ingestione, digeribilissimo. Per quanto concerne l’alimentazione, si può ricorrere a cibo in pellet specifico per roditori, integrato da alimenti umidi e vitamine, eventualmente aggiunte nell’acqua da bere, che non deve assolutamente mancare.

I micromammiferi, se alimentati correttamente, si rivelano un cibo bilanciato, digeribile (tranne pelo e unghie) e che non provoca problemi in caso di utilizzo continuativo ed esclusivo. Di contro, alcune specie allevate comunemente in terrario, essenzialmente piscivore (testuggini e bisce d’acqua), si abituano con difficoltà ad una dieta a base di piccoli mammiferi. In tal caso si può ricorrere all’allevamento di piccoli pesci, come alborelle, gambusie e latterini. 

 

Mosche

L’alimentazione a base di mosche (Ditteri appartenenti alla famiglia Muscidae) prevede l’utilizzo di forme larvali, dette comunemente bigattini o cagnotti, e delle forme adulte. I bigattini reperibili in commercio (larve di mosca carnaria, Sarcophaga carnaria), generalmente venduti come esche per la pesca, sono assolutamente sconsigliabili per un utilizzo subito dopo l’acquisto a causa della scarsezza di nutrienti del substrato utilizzato dalle industrie produttive; ricordo, inoltre, che le larve di carnaria producono sostanze, come putrescina e cadaverina, pericolose per i nostri animali. A tal fine è opportuno che il terrariofilo allestisca un proprio allevamento di bigattini utilizzando un adeguato impasto nutritivo costituito da latte in polvere, farina, polenta o crusca in scaglie, zucchero, lievito di birra, arricchito con vitamine e sali minerali, croccantini di carne per cani e gatti ed addizionato di un antifungino (nipagina o amfotericina B) per prevenirne il marciume e l’odore sgradevole. E’ importante che il pastone non risulti particolarmente umido. In questo modo si ottengono delle larve ad alto contenuto nutritizio e dall’involucro molle ed elastico. Tuttavia è sempre buona norma eliminare l’appuntito rostro spezzandone l’uncino con una pinzetta oppure recidendolo con una lama.

Gli adulti di Musca rappresentano un allettante cibo vivo per tutti quegli anfibi e sauri insettivori che amano cacciare le prede volanti (es. camaleonti), sebbene anche le forme con ali arricciate (curly wings), non in grado di volare, possono essere molto utili. Oggi sul mercato si trovano anche altri ditteri appartenenti ai generi Calliphora e Lucillia.

Le proprietà nutritive delle forme adulte sono alquanto scarse, essendo costituite prevalentemente da chitina, al contrario delle larve, che posseggono una quota proteico/lipidica superiore a quella degli adulti. Attenzione: le larve di mosca sono particolarmente aggressive, soprattutto nei confronti di esemplari debilitati, e devono assolutamente essere rimosse nel caso siano scampate al pasto.

 

Moscerini dell’aceto

I moscerini dell’aceto, particolarmente noti agli studiosi di genetica e citologia, sono Ditteri appartenenti al genere Drosophila, che comprende 8 sottogeneri e ben 900 specie. Le specie più comunemente allevate sono Drosophila melanogaster e D. hydei. Grazie alle ridotte dimensioni (2 mm la melanogaster, 3-4 mm la hydei) e al loro scarso contenuto in scorie, che non provoca alcun problema in seguito ad uso continuativo, i moscerini dell’aceto si rivelano insostituibili per gli allevatori di anfibi (Dendrobatidae, Mantellinae) e sauri di ridotte dimensioni o appena nati.

Drosophila sp. presenta un breve ciclo vitale (due settimane) e i maschi sono riconoscibili dalle femmine utilizzando un semplice microscopio ottico.

Per ottenere un piccolo quantitativo di moscerini e iniziare la coltura è sufficiente esporre della frutta zuccherina (arancia, uva, anguria, ecc.) all’aperto nella stagione estiva oppure richiedere un ceppo di individui, magari atteri o con ali vestigiali, presso un istituto di genetica universitario. Oggi, al contrario che in passato, è molto più semplice reperirli sul mercato.

Per procedere alla preparazione del “pabulum” nutritivo, si possono adoperare diverse “ricette self made” che, spesso, variano nella durata del preparato, soprattutto se non si dispone di conservanti alimentari specifici (Nipagina), difficilmente reperibili in commercio se non su cataloghi di materiale biomedico o in farmacie specializzate Attualmente il mercato propone terreni di coltura già preparati al quale basta aggiungere solo dell’acqua.

Un facile medium di coltura, anche se non duraturo, può essere costituito da un omogeneizzato alla frutta, oppure si può ricorrere alla classica ricetta messa a punto dagli enti di ricerca sperimentale: si sciolgono in acqua 10 g di agar agar, 50 g di glucosio (o semplice zucchero) e 100 g di lievito di birra in polvere; quindi si porta ad ebollizione per qualche minuto, si lascia raffreddare la miscela, si versa per un’altezza di 2-3 cm in contenitori idonei prima che si solidifichi del tutto. Nel caso si voglia aumentare la compattezza, è possibile aggiungere del semolino (100 g). Sul substrato solidificato si consiglia di posare striscioline di canapa (rafia) che fungono da appiglio agli adulti alati, altrimenti a rischio di morire invischiati nel pabulum.

I contenitori più usati per questo tipo di coltura sono piccole bottiglie a collo largo (diametro 4-5 cm) con un tappo costituito da cotone idrofilo. All’uopo si possono adoperare anche contenitori per milk shake di una nota multinazionale del fast food.

Al centro del tappo in cotone (o garza) si può far passare un piccolo tubo flessibile trasparente (tubicino per areatori o diffusori di CO2), che permette il passaggio dei moscerini nell’ambiente circostante: a tale scopo in passato si posizionavano le bottigliette direttamente nei terrari, sia per sfruttarne la temperatura (in genere almeno 25°C, ideale per i moscerini), sia per risparmiare il tempo necessario alla cattura. Qualora occorra somministrare un quantitativo ben preciso di cibo si può ricorrere ad un espediente: porre la bottiglia in congelatore per 2 minuti (attenzione a non esagerare!) e sfruttare il conseguente stato di torpore degli insetti.

Si suggerisce, comunque, di non allevare una stessa coltura per più di un mese poiché potrebbero verificarsi fenomeni contaminativi, con conseguente formazione di batteri, funghi e muffe, che potrebbero liberare tossine pericolose (cfr. de Vosjoli, 1994).

 

Analisi nutrizionale dei principali Artropodi ad uso terraristico allevati con diete non integrate da vitamine, sali minerali e macromolecole complesse (proteine, carboidrati e grassi), tratto da Klarsfeld, 1997.

 

INFORMAZIONI NUTRIZIONALI

Galleria

mellonella

Tenebrio

molitor

Zoophobas

morio

Acheta

domestica

 

 

 

 

 

PROTEINE %

15,4

18,65

18,92

20,72

CARBOIDRATI %

2,54

3,62

5,81

3,06

GRASSI %

20,12

14,96

15,07

5,74

UMIDITÀ %

60,97

57,75

58,91

68,96

CENERI %

0,97

1,36

1,29

1,52

FIBRE %

1,6

2

2,2

2,8

VIT. C mg/kg

23,6

38,1

9,8

105,9

Ca mg/100g

13,14

2,74

10,8

21,53

 

Bibliografia

J.D. Klarsfeld (1997) - How to culture the Wax Moth (Galleria mellonella). Reptiles  vol.5, n.12: 76-84.

N. Nehring (1996) - Raising mealworms. Reptiles  vol.4, n.7: 108-115.

V. Veer, D. Chiszar, H. Smith (1995) - Preference for formerly frozen mice over freshly euthanized mice by captive snakes of seven species from families Boidae and Colubridae. The Vivarium vol.7, n.6: 18-20.

P. de Vosjoli (1990) - The Right Way to feed Insect-eating Lizards. Advanced Vivarium System, Lakeside, California, U.S.A: 32 pp.

P. de Vosjoli (1994) - The Lizard Keeper’s Handbook. Advanced Vivarium System, Lakeside, California, U.S.A: 175 pp.

J.G. Walls (1995) - A visit to a Cricket Farm. Reptile Hobbist vol. 1, n.6: 46-51.