LE TARTARUGHE MARINE


di Alessandro Vlora e Lucio Rositani

 

Lo spiaggiamento e le catture accidentali di tartarughe marine lungo gli 800 km di coste pugliesi è stato monitorato per oltre 10 anni dal Laboratorio di Biologia Marina di Bari.

Delle tre tartarughe rinvenute spiaggiate o catturate accidentalmente dalle imbarcazioni da pesca in Provincia di Bari, la tartaruga comune, Caretta caretta (Linnaeus, 1758) è quella di gran lunga più frequente.

Descrizione

La tartaruga comune, Caretta caretta, possiede un carapace ovale di colore bruno-marrone piuttosto variabile a causa di organismi epibionti (prevalentemente crostacei cirripedi) e alghe che ne possono alterare la colorazione. I giovani, che alla nascita hanno una lunghezza carapace fino a 5 cm, presentano una carena dorsale dentellata e carapace striato di scuro (Arnold & Burton, 1985). Il piastrone, la parte inferiore della corazza, è giallastro. Il capo, non retrattile entro la corazza, ha un aspetto massiccio e la bocca, a forma di robusto becco corneo, è priva di denti. Tassonomicamente importanti sono le squame cornee dorsali del capo, con quattro prefrontali e una inter-prefrontale (Scillitani et al., 1996), al contrario di ciò che si osserva nella Tartaruga verde, Chelonia mydas, che ha un solo paio di prefrontali.

La tartaruga comune, inoltre, è identificabile dalla distribuzione delle piastre del carapace; se ne contano una precentrale (o nucale), cinque vertebrali (o centrali), cinque paia costali (o laterali), 12 paia marginali e due sopracaudali (o postcentrali o pigali). Nel piastrone, invece, si trova una piastra intergolare, cinque paia ventrali, una intrarenale e tre inframarginali (di rado 4 o 7: Ernst & Barbour, 1989) sprovviste di pori.

La lunghezza del carapace varia tra i 100 e i 150 cm, sebbene Márquez (1990) riporta di un esemplare di 213 cm. Il range dimensionale del carapace degli individui rinvenuti e misurati lungo le coste pugliesi è compreso tra 17 e 113 cm (Rositani et al., 1998).

Gli arti sono trasformati in pinne, le anteriori con funzione propulsiva, le posteriori con funzione direzionale. La lunghezza della coda, nei maschi molto più lunga, permette facilmente il riconoscimento dei sessi.

Ecologia e Biologia

Ottima nuotatrice, la tartaruga comune conduce tutta la vita in mare aperto percorrendo anche notevoli distanze. Preferisce i mari caldi tropicali, ma frequenta anche le acque temperate sfruttando le correnti calde per compiere migrazioni. Durante tali spostamenti in genere predilige i tratti costieri, forse per motivi trofici. In particolare le popolazioni mediterranee sembrano avere contatti con quelle atlantiche: studi di marcatura e ricattura hanno mostrato come esemplari di Caretta attraversino nei due sensi lo Stretto di Gibilterra (Argano, 1992). Recenti studi di genetica, però, hanno evidenziato esemplari di tartaruga comune e tartaruga verde catturati nel Mediterraneo con sequenze di DNA mitocondriale caratteristiche (Dutton & Leroux, 2001).

Durante il periodo invernale le tartarughe diminuiscono la loro attività riducendo il metabolismo corporeo (Carr et al., 1980). Felger e collaboratori (1976) riportano di tartarughe verdi che restano parzialmente infossate nel sedimento anche per 2-3 mesi. Con l’aumento della temperatura inizia il ciclo riproduttivo. L’accoppiamento avviene in mare, prevalentemente di notte e può durare fino a 3 ore (Wood, 1953). Le femmine, che mostrano notevole fedeltà ai siti di deposizione, durante la notte, raggiungono la spiaggia prescelta per la deposizione e, trascinandosi con le pinne, si portano a circa 10-15 m oltre la battigia; quindi, trovato il luogo adatto, iniziano a scavare con gli arti posteriori una buca profonda a forma di anfora di circa 50-60 cm, dove depongono sino a 190 uova (mediamente 110, Márquez, 1990). Le uova, sferiche e di colore bianco, hanno le dimensioni di una pallina da ping-pong. Terminata la deposizione (dopo circa una o due ore), ricoprono la buca con sabbia umida avendo cura di nascondere l’entrata e abbandonano le spiaggia sino alla successiva deposizione: una femmina può raggiungere le sette deposizioni a stagione (Lenarz et al., 1981). Il periodo di incubazione cambia al variare delle latitudini oscillando tra i 50 ed i 70 giorni con una temperatura ottimale di 26°-32° (Ernst & Barbour, 1989). Come per altre specie di rettili, la temperatura determina il sesso dei nascituri: ad alte temperatura (intorno ai 32°) nascono individui di sesso femminile, al di sotto dei 28° nascono solo maschi. A temperature intermedie la sex ratio è circa 1:1 (Yntema e Mrosovsky, 1982). I piccoli appena nati raggiungono velocemente il mare, in genere di notte, per evitare di essere catturati da uccelli marini, granchi e altri predatori.

Caretta caretta è onnivora: si nutre prevalentemente di molluschi e crostacei non disdegnando anche pesci, meduse, spugne, echinodermi, alghe e fanerogame marine.

Distribuzione

Prevalentemente diffusa in acque tropicali e subtropicali, la tartaruga comune ha un areale di distribuzione piuttosto vasto. Per ciò che concerne la tassonomia, è presente nel Mediterraneo, nel Mar Nero e nell’Oceano Atlantico con la sottospecie Caretta caretta caretta (Linnaeus, 1758) nell’Oceano Indiano e nell’Oceano Pacifico con la sottospecie Caretta caretta gigas Deraniyagala, 1933, sebbene studi sul DNA mitocondriale non sembrano confermare tale criterio di classificazione (Bowen et al., 1994).

In Mediterraneo è la specie più comune; in Italia sono sicuramente presenti siti di deposizione a Linosa, Lampedusa, in Calabria e in Sardegna. In Provincia di Bari non si hanno notizie dirette su siti di deposizione, sebbene siano state recentemente ritrovate, ai suoi confini meridionali, alcune piccole tartarughe con lunghezza del carapace di 7 cm. In basso un giovane esemplare di C. caretta di poco più di 11 cm.

Conservazione

Caretta caretta, insieme alle altre tartarughe marine, è considerata specie a rischio di estinzione. Numerose sono le cause che stanno riducendo il numero di esemplari di questa specie in tutti i mari del mondo; il principale motivo sembra essere legato alla riduzione dei siti di deposizione: è ormai difficile trovare spiagge deserte, buie e dalla sabbia pulita. L’abusivismo edilizio costiero, la presenza di luce artificiale sulle spiagge di nidificazione (Witherington, 1992), l’inquinamento delle coste e la sporcizia della sabbia rappresentano una seria minaccia per la continuazione della specie  (Argano, 1999). Un’altra causa che influisce sul deupaperamento delle popolazioni, evidente nel Mediterraneo, è legata alle attività di pesca (Gerosa & Casale, 1999): abbocamento ad ami, imbrigliamento in reti e lenze, azioni di eliche di barche a motore sono solo le cause più frequenti delle lesioni osservabili sulle tartarughe rinvenute spiaggiate nel basso Adriatico pugliese (Rositani et al, 1998). Inoltre le manifestazioni degenerative-necrotiche dell’apparato digerente, dell’apparato urinario, del polmone e del cuore che si riscontrano in numerose tartarughe spiaggiate morte possono essere riconducibili a fattori di origine biologica e chimico-fisica non ben definibili e forse legati all’inquinamento delle acque (Zizzo et al., 1999). Al contrario il prelievo di uova e le catture di adulti di tartaruga a scopo alimentare, almeno nel Mediterraneo, sono in drastica diminuzione. A testimonianza di una nuova coscienza ambientale da menzionare sono i numerosi centri di recupero e riabilitazione nati in Italia, nonché il primo parco nazionale di protezione delle tartarughe marine del Mediterraneo sorto a Zacinto, nella Grecia occidentale (Dimopoulos, 2001). Degni di segnalazione, inoltre, sono i recenti studi di telemetria che permettono la raccolta di dati (etologici, fisiologici, ecc.) ancora poco noti, quali gli spostamenti riproduttivi, i vari tipi di nuoto, la durata delle apnee, la velocità di immersione e risalita, la profondità massima raggiungibile dalle diverse specie ed altri ancora. Altrettanto importante è il progetto di creazione di una banca-dati di sequenze specifiche di DNA mitocondriale in grado di facilitare le indagini di genetica di popolazione (Dutton & Leroux, 2001).

I risultati di tutte queste ricerche contribuiranno in futuro ad affrontare più correttamente il problema della conservazione soprattutto se inserite in un progetto di monitoraggio e di intervento unitario. A tal fine è stato costituito di recente un piano d’azione specifico per la conservazione delle tartarughe marine del Mediterraneo (Ouerghi, 2001).

Attualmente la protezione di questi rettili avviene a livello internazionale con la Convenzione di Washington e quella di Berna, mentre a livello nazionale con i decreti del 21/5/1980 e del 3/5/1989 dell’ex Ministero della Marina Mercantile

Nonostante gli sforzi dei ricercatori e le numerose campagne di sensibilizzazione, tutte le specie di tartarughe marine continuano ad essere in rarefazione.

Le altre tartarughe marine

Altre due specie di tartarughe marine sono state rinvenute lungo le coste della Provincia di Bari, sebbene piuttosto raramente, e sono la Tartaruga verde (o franca), Chelonia mydas (Linnaeus, 1758) e la Tartaruga liuto o sfargide, Dermochelys coriacea (Vandelli, 1761), confermandone la presenza in Adriatico (Bruno, 1986; Rositani et al., 1998).

La tartaruga verde è la specie che, nei nostri mari, può essere confusa più facilmente con la tartaruga marina comune. Caratteri distintivi sono le quattro lamine costali per ogni fianco (e non cinque come in Caretta) e la  presenza di un solo paio di squame cornee prefrontali a livello del capo. Rispetto a Caretta, inoltre, ha un capo più affusolato e l’astuccio corneo che ricopre la mascella superiore mai ricurvo. La colorazione del carapace, invece, non è utilizzabile per una identificazione inequivocabile in quanto il nome comune, tartaruga verde, è legato essenzialmente alla traduzione letterale del nome anglosassone. Il carapace misura, in media, 100 cm, il peso è inferiore ai 150 kg. La dieta, costituita essenzialmente da vegetali (alghe e fanerogame marine), la rende assidua frequentatrice delle basse acque costiere. Il comportamento riproduttivo è simile a quello di Caretta. La tartaruga verde frequenta soprattutto i mari dell’Oceano Indiano e Pacifico; nel Mediterraneo è poco frequente e lungo le coste della Provincia di Bari è stata ritrovata solo 2 volte in dieci anni.

La specie Dermochelys coriacea è il testudinato vivente di maggiori dimensioni (244 cm di lunghezza, Brongersma, 1968) ed è l’unica rappresentante sopravvissuta della famiglia Dermochelydae (Cogger & Zweifel, 1992). Si rivela facilmente distinguibile da tutte le altre tartarughe marine per l’unicità del carapace: a forma di liuto, con carenature longitudinali (in numero di sette) e rivestimento dermico. Il colore è bruno-nerastro, con sfumature viola e piccole macchie chiare disposte irregolarmente. Si nutre essenzialmente di meduse e ctenofori, ma anche di molluschi, echinodermi e crostacei.

La tartaruga liuto ha abitudini prettamente pelagiche, in grado di compiere immersioni prolungate a notevoli profondità, ed è probabilmente il rettile con la maggiore distribuzione mondiale; si segnala anche in alcuni mari freddi in virtù di alcuni adattamenti per il mantenimento del calore corporeo (Frair et al., 1972). Nel Mediterraneo è stata segnalata solo sporadicamente e in Provincia di Bari solo 4 volte in 20 anni. Si distinguono due sottospecie, di cui D. coriacea coriacea presente nell’Atlantico e, sporadicamente, nel Mediterraneo, e D. coriacea schlegelii più comune nel Pacifico.

 

Bibliografia

Argano R., Basso R., Cocco M., & C. Gerosa  (1992) – Nuovi dati sugli spostamenti di tartaruga marina comune (Caretta caretta) in Mediterraneo. Boll. Mus. Ist. Biol., Univ. Genova, 56-57: 137-163.

Argano R. (1999) – Tartarughe marine: attività di conservazione. Atti VIII Sett. Cult. Scient. e Tecnol., Univ. Bari: 7–15.

Arnold, E. N. & J. A. Burton (1985) – Guida dei rettili e degli anfibi d’Europa. F. Muzzio & c. ed.,  Padova: 244 pp.

Bowen B.W., Kamezaki N., Limpus C.J., HugesG.R., Meylan A.B. & C. Avise (1994) – Global phylogeography of the loggerhead turtle (Caretta caretta) as indicated by mitochondrial DNA haplotypes. Evolution, 48(6): 1820-1828.

Carr A.F., Ogren L. & C. McVea (1980) – Apparent hibernation by the Atlantic loggerhead turtle Caretta caretta off Cape Canaveral, Florida. Biol. Conserv., 19: 7-14.

Cogger H.G. & R.G. Zweifel (1992) – Anfibi e Rettili. Mondadori Ed., Milano: 240 pp.

Dimopoulos D. (2001) – The National Marine Park of Zakynthos: a refuge for the Loggerhead Turtle in the Mediterranean. Marine Turtles Newsletter 93.

Dutton P.H. & R. Leroux (2001) – Sea Turtle Genetics Planning Meeting at the 21st Annual Symposium. Marine Turtles Newsletter 93.

Ernst C.H. & R.W. Barbour (1989) – Turtles of the world. Smithsonian Institution Press, Hong Kong: 313 pp.

Felger R.S., Cliffton K. & P.J. Regal (1976) – Winter dormancy in sea turtles: independent discovery and exploitation in the Gulf of California by two local cultures. Science 191: 283.

Frair W., Ackman R.G. & N. Mrosovsky (1972) – Body temperature of Dermochelys coriacea: warm turtle from cold water. Science, 177: 791-793.

Gerosa G. & P. Casale (1999) – Interaction of Marine Turtles with Fisheries in the Mediterranean. Mediterranean Action Plan. UNEP, Tunisi, Tunisia: 59 pp.

Lenarz M.S., Frazer N.B., Ralston M.S. & R.C. Most (1981) – Seven nests recorded for loggerhead turale (Caretta caretta) in one season. Herp. Review, 12: 9.

Márquez R.M. (1990) – FAO Species Catalogue. Vol. II. Sea Turtles of the World. An annotated and illustrated catalogue of sea turtle species know to date. F.A.O. Fisheries Synopsis, 11 (125). FAO, Roma: 81 pp.

Ouerghi A. (2001) – The Action Plan for the conservation of Mediterranean Marine Turtles adopted within the Framework of the Mediterranean Action Plan. Marine Turtles Newsletter 93.

Rositani L., De Zio V., Pastorelli A.M. & A. Vlora (1998) – Rinvenimenti di tartarughe marine lungo le coste pugliesi: 1978-1997. Biol. Mar. Medit. 5(1): 839-842.

Scillitani G., Rizzi V. & M. Gioiosa (Eds.) (1996) – Atlante degli Anfibi e dei Rettili della Provincia di Foggia. Monografie Mus. Prov. St. Nat. Foggia, C. Stud. Nat. Vol. 1. Gitto, Foggia: 120 pp.

Yntema C.L. & N. Mrosovsky (1982) – Critical periods and pivotal temperatures for sexual differentiation in loggerhead sea turtles. Canadian J. Zool., 60: 1012-1016.

Witherington E. B. (1992) - Bheavioral responses of nesting sea turtles to artificial lighting. Herpetologica 48(1): 31-39.

Wood F.G. (1953) – Mating behavior of captive loggerhead turtles, Caretta caretta. Copeia: 184-186.

Zizzo N., Rositani L., Perillo A., Vlora A., Sebastio P. & A. Troncone (1999) – Rilievi anatomo-istopatologici su tartarughe marine piaggiate lungo le coste pugliesi. Riv. Idrobiol., 38, 1/2/3: 91-98.